Dr Claudio Nudi | Profilo

 

 

UN METODO GENTILE


Salve. A meno che non siate incappati in questa pagina per puro caso, probabilmente ci siete arrivati perchè sentite in qualche modo di aver bisogno di aiuto e state cercando di orientarvi su cosa chiedere e a chi. L'altra ipotesi possibile è che ci siate arrivati per curiosità (il che è praticamente la stessa cosa, sebbene presa più alla lontana). In tutti e due i casi, visto che per un motivo o per l'altro siete arrivati fin qui, credo di non intervenire a sproposito se approfitto dell'occasione per fare chiarezza su alcuni aspetti della professione psicologica e sui vari modi di esplicarla, che determinano il fatto che, pur essendo il metodo sostanzialmente sempre lo stesso, sia possibile arrivare a risultati molto diversi e con modalità assai differenti.

Ancora oggi, a centoventi anni dalle pubblicazione de "L'interpretazione dei sogni", sopravvivono alcune rappresentazioni collettive dello psicoanalista non particolarmente rassicuranti: chi se lo figura come un Vate, chi come un guru, chi come un tipo serioso e grigio, chi come un vecchio saggio nella pace dei sensi. Qualcuno taglia la testa al toro rappresentandoselo come uno che fa una cosa impossibile e ti ruba i soldi, e via discorrendo. Ancor oggi, per strano che possa sembrare, non tutti riescono a pensarlo semplicemente come un professionista curioso delle cose umane, sinceramente interessato all'altro e al suo destino, che fa il possibile per rendere la persona con cui lavora meno sofferente e più libera da se stessa e dalle trappole che la sua stessa mente gli tende, o ad accogliere con minor angoscia le tante ferite che provengono dall'esterno

Poiché immagino che siate arrivati sin qui a partire da qualche pagina di Google in cui si parlava dei problemi psologici di cui mi occupo, non mi ripeterò in questa sede. Per presentarmi, tuttavia, dirò che personalmente mi sono sempre ispirato al modello freudiano, al quale mi sento legato anche affettivamente. Stando a quanto ci hanno lasciato scritto coloro che sono stati in analisi con Freud, era un uomo cordiale e simpatico, onesto e disponibile, carico di tutti i difetti propri dell'essere umano ma pronto anche a riderci sopra. Che poi fosse anche una mente straordinaria, di ineguagliabile chiarezza e con una formidabile capacità di lavoro, ce lo consegna la Storia. E su questo non c'è altro da aggiungere. Forse, invece, può essere utile aggiungere qualcosa sul mio metodo di lavoro, che ho voluto definire "gentile".

La paura del silenzio. In quarant'anni di professione, ho visto e saputo di molte persone che hanno iniziato un' analisi ma poi interrotto il cammino per un uso eccessivo del silenzio da parte del terapeuta. Effettivamente, il tacere elevato a metodo può essere problematico, non tanto perché si vive l'imbarazzo del semplice "non sapere cosa dire" o perché si ha l'impressione di non approdare a nulla, ma anzitutto perché mette la persona con cui stiamo lavorando di fronte ad un muro di cose che semplicemente non è ancora in grado di dire, e questo incombere dell'ignoto lo spaventa e lo fa sentire terribilmente solo ed indifeso

E' vero, il silenzio è importante, perché nel silenzio si sviluppa e matura il pensiero; ma dev'essere un silenzio in compagnia di una vicinanza certa e disponibile, capace di aiutare, rincuorare e, se serve, rassicurare senza invaderti. Dunque occorre anche, e a mio parere forse soprattutto, saper dire, indicare dove guardare, commentare e spiegare, a maggior ragione in un'epoca in cui siamo tutti connessi ma, proprio per questo, aldilà delle apparenze, più soli. Dal mio punto di vista, la persona che stiamo tentando di aiutare ha tutti i diritti di sapere cosa stiamo facendo, dove stiamo andando e perché, ed in qual modo questo può essergli utile per la sua futura qualità di vita.

La questione economica. Molti si difendono dal chiedere aiuto facendosi scudo della questione dell'onorario. Nulla è immutabile, e al giorno d'oggi un professionista sinceramente interessato al prossimo ed alle sue vicende non può limitarsi a pretendere, a meno che non si consideri un predestinato che si rivolge ad un'élite di predestinati, con buona pace di chi non può permetterselo. Sotto questo aspetto, il mio punto di vista è che lo psicologo abbia gli stessi obblighi del medico, e penso che curare sia un dovere cui non ci si dovrebbe sottrarre per motivi di interesse. Indubbiamente il curriculum ed i titoli del terapeuta hanno un peso, ed è comprensibile che sia così, ma troverei profondamente ingiusto proporre lo stesso onorario ad uno studente universitario e ad un professionista.

Penso però anche ad un altro aspetto, e cioè che le cose nella vita siano soggette a priorità, e che tutto sommato non esiste nulla di più importante ed urgente che vivere il presente ragionevolmente in pace con sé stessi. Certo, ci sono le pillole, ed in alcuni casi non se ne può fare a meno: ma ci sono anche tante forme di sofferenza interiore che le pillole non possono risolvere, ma solo tutt'al più tamponare temporaneamente, e altrettante che semplicemente non riescono a curare, a meno di non inebetire completamente il paziente, cosa che ho visto sin troppe volte nella mia carriera.

Sostengo perciò che un onorario ragionevole e commisurato alle risorse della persona abbia un senso profondo: è un investimento sano e lucido sulla propria vita, e sottolinea la volontà e l'impegno di farcela da ambedue le parti.

Il problema del tempo e della speranza. La mente è un meccanismo straordinario che ancor oggi non cessa di stupirci: apprende anche in età avanzata, crea, si adatta e inventa. Ma quando si tratta di accogliere qualcosa di nuovo che la riguarda da vicino, purtroppo è lenta. Qualunque forma di psicoterapia non può non tenere conto di questa peculiarità specifica, e dunque è lecito immaginare ogni processo di crescita come un percorso da fare insieme ad un valido compagno di viaggio: ma ogni percorso ha dei tempi, e vale qui il motto latino festina lente, affrettati ma lentamente, perché solo i cammini assaporati passo per passo producono risultati buoni, certi e stabili nel tempo.

Personalmente io ritengo, tuttavia, che anche il problema del tempo sia un ottimo alibi per chi teme di fare qualcosa di meglio di ciò che siamo riusciti a fare da bambini, magari in maniera incompleta e difettosa, di noi stessi. Nessuno si stupirebbe nel pensare che imparare a suonare il piano, o a danzare, o ad apprendere una lingua, o specializzarsi in qualcosa possano costare tempo e fatica. Dunque, cosa ci può salvare? Io credo che la risposta a questa domanda possa essere una sola: la passione. Passione nell'aiutare l'altro, e nell'aiutare sé stessi a fare "qualcosa di meglio", come dico spesso ai miei pazienti. Passione nel capire, nel volercela fare, iniziare a coltivare la speranza e non più la rinuncia.

Il Fascino del Notturno. Un rituale del mattino che mi consta ripetersi da sempre in molte famiglie, e non solo in quelle in cui c'è qualcuno in analisi, è quello di raccontare ciò che si è sognato la notte. Un rito divertente, socializzante e molto intimo, in cui si mette l'altro a conoscenza di una parte profonda di sé, comunque protetti da quei meccanismi mimetici di censura che lo rendono inintelligibile, almeno nella maggioranza dei casi, a se stessi e all'altro. La verità, pura e semplice, è che quell'affiorare di fantasie apparentemente scomposte, caotiche, a volte ironiche e altre paurose, ci affascina da sempre, con la sua implicita e tentatrice seduzione di rappresentarci a noi stessi in forma di enigma. Una conoscenza intrinsecamente negata, un "dire e non dire" in cui tutto e consentito, anche se talvolta giungiamo persino a vergognarcene.

Una parte di ciò che sogniamo è in genere legato a qualcosa che ci è accaduto o che abbiamo pensato il giorno prima, per cui spesso il nostro paziente ci rivela, assai orgoglioso, quella che per lui è l' "interpretazione" del sogno, che invece si rivela essere solo un residuo di realtà, un mosaico di immagini rubate allo stato di veglia su cui il sogno costruisce sé stesso. La verità è molto più profonda, e quasi mai immediatamente intelligibile. Ci sono persone che sognano in maniera "chiacchierona", intrecciando i piani del discorso in maniera a volte inestricabile; altre sognano in forma allusiva e talvolta ironica, e non è così raro che l'interpretazione di un dato segmento del sogno faccia sorridere sia il paziente che il suo analista. Capita a volte che un sogno pauroso, una volta commentato, riveli aspetti totalmente diversi da ciò che ci si potrebbe aspettare, o che un sogno solare ed apparentemente giocoso riveli risvolti del tutto opposti, e che ci faccia intravvedere una fuga da determinati problemi, magari severi e dolorosi. Esistono sogni che semplicemente non siamo ancora pronti a comprendere, davanti ai quali il nostro paziente rimane interdetto ed incapace a creare associazioni significative, e di fronte ai quali lo stesso analista rimane perplesso: magari dopo qualche mese il loro significato ci verrà rivelato da nuove connessioni e nuovi commenti, perché nell'analisi, come del resto nella vita, si deve anche saper attendere che le cose maturino. Vi sono, infine, sogni che affondano le loro radici in strati così profondi della psiche che possiamo solo spiegarli ricorrendo al biologico, e che rimarranno, probabilmente, un mistero per sempre insoluto. Ma fortunatamente ci sono anche sogni illuminanti, chiari a tal punto che quasi non ci sarebbe nemmeno bisogno dell'analista per comprenderli, e ciò accade, in genere, quando tocchiamo la vera matrice di un problema, quando lo abbiamo scandagliato, maturato e compreso fino in fondo. E' difficile spiegare in qual modo e perché quando ciò accade il nostro paziente si sente, e sia effettivamente, più libero: ma l'essere umano cerca un senso nelle cose e nel suo stesso esistere, e perciò - forse - si può dire che l'attribuzione di un senso ci libera dalle angosce del buio e dell'ignoto, e ci infonde la speranza che dove c'era la paura del buio tornerà la luce del giorno.

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